Perché siamo degli appassionati terminali di musica e lettura, prima di tutto.

Di tutto ciò che è LIBERA espressione. In un’epoca come questa dove ogni cosa è a disposizione, libera appunto, ma senza alcun tipo di controllo o di filtro, quindi difficilmente raggiungibile senza una guida, senza una direzione.

Perché è da quando abbiamo preso possesso della ragione che non smettiamo di essere curiosi, di cercare cose nuove, meno note. Non ci fermiamo MAI, davanti a niente e nessuno.

Quindi, dopo aver letto l’ennesima testimonianza di prima mano da parte di gente che non sapeva nemmeno dove stava di casa (il riferimento è Journey To The Center Of The Cramps, ovvero la biografia dei mitici Cramps di Dick Porter recentemente tradotta in Italia dai ragazzi di Goodfellas) ma era sicura di quello che faceva, ovvero riportare a galla il suono più malato degli anni ’50, quello delle B-sides di rari ed innominabili 45 giri di rockabilly; e centrifugarlo con gli horror comics e il clima urbano e degradato della New York di metà anni settanta. Erano talmente convinti che, alla fine, hanno avuto ragione loro. In barba a tutti!

E così siamo anche noi. Non ci interessa minimamente, per il momento, avere un obiettivo preciso o, meglio, un punto di arrivo. Ci godiamo il viaggio. Vogliamo condividere i nostri soliti ed insoliti ascolti e letture (tutti, per noi, ineludibilmente da CINQUE STELLE e quasi irrimediabilmente PERDUTI) con quanta più gente possibile. Nel mare magnum indistinto della rete globale occorre più che mai una guida all’ascolto ed alla lettura. Occorrono punti fermi.

Proveremo ad essere un filtro, un catalizzatore magari; con i nostri punti di vista e la nostra attitudine proveremo a fare grandi passi, ad assicurarci le cose migliori che ci sono sul nostro pianeta (per gli altri, vedremo) anche in quest’epoca confusa e infelice.

Non è cosa da poco, lo sappiamo.

Se funzionerà saranno i lettori a dirlo, che sono liberi di criticare o suggerire quello che vogliono.

Allacciate le cinture, si parte.

GLI STELLARI

lunedì 31 ottobre 2016

HORSEBACK - Dead Ringers
(CD Relapse)


Progetto estremamente interessante questo degli HORSEBACK, sponsorizzato dall’etichetta americana Relapse che sta facendo un eccellente lavoro volto a valicare la forma estrema con la quale si è creata una solida reputazione ed un fantastico catalogo per approdare in un universo più indefinito e disinibito in linea con il rock di oggi e le sua forma a 360°.
Diciamo subito che ci sono degli elementi comuni (sono anche loro di Chapel Hill,North Carolina), con i SOLAR HALOS e con Nora Rogers, che saltuariamente collabora con loro.
La loro formula, dopo cinque album, è perfettamente a fuoco in questo Dead Ringers, vera e propria odissea sulla superficie lunare.
Gli otto movimenti che compongono l’album si sviluppano come dei mantra sonori che si adagiano placidamente su un bordone di suono molto spacey creato dai sintetizzatori e su una ritmica metronomica soffice di chiara matrice krauta.
Giocano con rara maestria ad entrare ed uscire dalla forma sonora di canzone tradizionalmente intesa, fluttuando su languide e tribali sonorizzazioni con chitarre elettriche sapientemente trattate ed atmosfere di alterata psychedelia (SPIRITUALIZED e DOORS a braccetto!) con spiccati influssi etnici.
Anche il rumore ha una parte importante in questo processo di definizione ma non è MAI disturbante, bensì messo al servizio del mellifluo brano (The Cord Itself e Descend From The Crown su tutte).
La liricita’ della voce sempre profonda e nitida ricorda certe cose di SWANS e NURSE WITH WOUND ma in un contesto completamente differente.
Il focus di tutto il concept è il grande nulla americano (il concetto di spazio) filtrato con un viaggio interstellare: organi che vagano con melodie surreali e coriandoli psichedelici si abbracciano indissolubilmente con una lenta ed ipnotica ritmica che raggiunge il climax perfetto fondendosi con una melodica nenia orientale e la voce che ci guida verso il cielo, verso l’ignoto (Lion Killer che traghetta il gotico americano alla ricerca di galassie sconosciute).
Una formula certamente rock ma sempre molto filmica come dimostra In Another Time, In And Out Of Form dove si scorgono i fantasmi dei DOORS ma anche dei PINK FLOYD di Ummagumma con il rumore tipico di metropoli come N.Y. (potrebbero essere i SONIC YOUTH di Dirty).
Moderni e per certi versi originali gli HORSEBACK riescono a catapultare intuizioni di matrice cosmica in un contesto come quello del rock dei nostri tempi dove si scorgono echi del migliore N.I.N. (di Downward Spiral) con lunghe progressioni che sfiorano certe cose di NEIL YOUNG (di Zuma e le sue rumorose ed indimenticabili cavalcate elettriche) supportando tutto con un uso intelligente di sintetizzatori ed elettronica che creano un sostanziale tessuto onirico di perfetta drone music concreta.
I quasi diciassette minuti della finale, incredibile, Descend From The Crown, sono la completa analisi di come partendo da dolci sussulti melodici e clangori metallici finemente amplificati si possa sviluppare un magico labirinto di idee perfettamente a fuoco ed inserite, con la guida vocale sicura ed intima di Jenks Miller, in una forma di rock contemporaneo alterato.
HAVE A NICE TRIP!

Reverberend

domenica 23 ottobre 2016

40 WATT SUN - Wider Than The Sky
(CD Radiance Records)


Aspettavo con trepidazione questo disco dei 40 WATT SUN sicuro di un disco speciale.
Così è, in effetti.
La band è maturata in maniera esponenziale; si è ripiegata su se’ stessa da un lato e dall’altro si è lasciata andare ad infinite, mantriche distese di emotività elettrica magistralmente orchestrate in un oceano di intense esperienze di tersa lucidità musicale.
I brani, perché sebbene durino tutti e sei circa dieci minuti ciascuno, di questo si tratta; hanno una formula che segue la consueta struttura evolutiva ma fluttuano su sconfinate oasi elettro-acustiche di una compiutezza difficilmente eguagliabile da chiunque oggi in campo rock.
Parole forti ma questo è proprio ciò che penso.
Provate ad immaginare il SONGS:OHIA di Loneliness, ugualmente dolente e sconfitto, e le pagine migliori degli SLOWDIVE (scegliete pure voi tra Souvlaki e Pygmalion) con cascate elettriche o elettro-acustiche che si integrano magistralmente nel magma di emozioni che compongono questo autentico manifesto slowcore e cantautorato di fine scuola americana di seconda generazione (slackness).
Davvero difficile fondere in maniera mirabile due generi (?!?) così distanti eppure in questo disco si raggiunge lo zenith conosciuto sino ad oggi.
Si va’ ben oltre la perfezione formale, l’ispirazione è magica ed è al servizio della canzone, dell’esigenza di raccontare e raccontarsi. E si sente, senza ombra di dubbio.
Ne escono ormai pochi di dischi così compiuti, originali e, perché no, moderni nel loro classicismo.
Descrivere quello che si prova all’ascolto di simili bellezze è arduo un po’ come raccontare in punta di piedi la perdita dell’innocenza, l’entrata nella vita da adulti con tutte le responsabilità che questo comporta.
L’incedere in slow-motion (una costante) metabolizza l’intensità dello scorrere del tempo, nella vita reale come nel racconto stesso della band guidata dalla calda voce nitida e pastosa di Patrick Walker che conferisce il necessario spleen esistenziale per dare credibilità al suo percorso, intimo e personale.
Non è necessario citare i brani o un brano in particolare perché il disco va’ ascoltato nella sua interezza e funziona a meraviglia proprio con l’ininterrotta sequenza dei brani proprio come l’hanno pensata i 40 WATT SUN.
Credetemi, magia allo stato puro: estasi ed incanto.
CAPOLAVORO.

Reverberend

giovedì 6 ottobre 2016

BRUJERIA - Pocho Aztlan
(CD Nuclear Blast)


Ricordo nitidamente che, nel lontano 1992, ero stato letteralmente devastato da un debutto, folgorante davvero, di una banda di messicani incazzati con tutti: il disco era Soul Of A New Machine e la band i FEAR FACTORY.
La loro proposta è stata fulminante per molti perché mischiavano come nessuno prima a questi livelli trash, death-metal, grind-core e musica industriale in una perfetta compattezza sonora, con la produzione dell’allora ancora poco noto Colin Richardson, vero maestro nel genere.
Fate conto che ho da sempre avuto anche una viscerale passione morbosa per libri noir come, cito uno dei vertici assoluti del genere, Il cartello di DON WINSLOW.
Immaginatevi lo stupore quando ho scoperto (allora non c’erano ancora le illimitate possibilità della rete!!) che il chitarrista DINO CAZARES dei FEAR FACTORY aveva anche un side-project di nome BRUJERIA (in messicano letteralmente stregoneria).
Ovviamente, anche se non ho mai considerato, magari sbagliando, questi generi come una priorità mi sono innamorato da subito dei SIGNORI DEL NARCOTRAFFICO, come si facevano chiamare questi loschi figuri che oltre a DINO CAZARES vantavano altre figure di spicco della scena mondiale della musica estrema legata al rock se così è ancora possibile chiamarlo.
La formazione nel corso degli anni ha cambiato parecchie volte l’organico e le uniche figure tutt’ora presenti della formazione iniziale sono il cantante Juan Brujo (John Lepe)ed il bassista (anche nei NAPALM DEATH) El Hongo (Shane Embury).
I BRUJERIA ci tengono a precisare che loro si considerano latini e non ispanici!!
Bene, non ho mai preso un album di questa band contro ogni logica e ad oggi ne vantano con quest’ultimo ben sette con tanti 45 giri ed altri prodotti minori!!
Non c’è un motivo preciso di questa mia scelta se non che esce sempre e da sempre talmente tanta musica interessante che ho preferito concentrarmi su altro.
Ad onor del vero è doveroso constatare in virtù di tutti gli sviluppi odierni che in questi generi estremi stanno accadendo cose davvero interessanti (leggi derive come atmospheric doom anche retro-rock ma anche black-metal).
Di Pocho Aztlan mi ha colpito immediatamente la cover magnifica e piena di colori forti e violenti come la loro musica.
Immaginatevi una banda di degenerati ossessionata da cose come il satanismo, il sesso violento e soprattutto le sostanze stupefacenti: proprio un bell’insieme non c’è che dire!!
Beh, se vogliamo, come evidenzia in modo netto il 45 giri Viva Presidente Trump! uscito quest’anno (vi invito a visionare l’inequivocabile immagine di copertina!!) si occupano anche di politica e non è la prima volta.
La cantilena iniziale ci introduce nel terrorismo sonoro di Pocho Aztlan dove una tempesta di granitici riffs supportata da una ritmica iper-veloce ci schiaccia letteralmente conto un muro senza via di scampo.
In Angel de la Frontera l’alternanza di ritmi sincopati e moshing è al suo apice e la tensione raggiunge il massimo valore possibile.
Plata o Plomo è un’altra carneficina sonora introdotta da un notiziario locale che ha l’effetto di alterare ulteriormente il clima iper-cinetico del brano.
Si continua senza alcun cedimento nella migliore tradizione death-grind tra la perfezione formale di Mexico Campeon e la drammatica predica di Codigos che alimenta ulteriormente il clima di assoluta violenza sonora.

Menzione speciale alla cover finale di CALIFORNIA UBER ALLES originariamente dei geniali DEAD KENNEDYS con testo cambiato per l’occasione in CALIFORNIA UBER AZTLAN.

Reverberend

domenica 2 ottobre 2016

SYLVAINE - Wistful
(CD Season Of Mist)


Per qualche strana ragione alcuni dischi non catturano immediatamente la nostra attenzione, nonostante se ne riconosca subito il valore. Chissà, magari il momento non era quello giusto, troppi pensieri per la testa e troppe cose da fare per un ascolto dedicato ed esclusivo. Così questo secondo lavoro della cantante/polistrumentista norvegese lo avevo accantonato tra quelli da risentire, con la vaga sensazione che dall’ostrica non ne avrei ricavato alcuna perla. Beh, sono felice di potermi smentire alla grande. Dunque, non si tratta di un album di facile ascolto; anche se ultimamente vanno di moda i suoni atmosferici e post-black (e post-tutto, verrebbe da dire), Wistful non si lascia catturare facilmente.
L’iniziale Delusions procede lentamente accompagnata dalla splendida voce di Sylvaine e quella che sembra dapprima essere una nebbiosa foresta si apre sinuosamente in una distesa soleggiata e arcadica, nella quale il riverbero dolente della chitarra si insinua dolcemente, e improvvisamente ti accorgi che stai cullandoti in questo magma di suoni struggenti. Lentamente, inesorabilmente, la magica Sylvaine ci porta con sé… La melodia arriva dritta al cuore, una cascata di emozioni che termina gentilmente come la canzone.


In alcuni brani come Earthbound o In The Wake Of Moments Passed, Sylvaine utilizza un modo di cantare più aggressivo e “distante”, quasi black-metal, che non suona certo male intendiamoci, solo che in effetti non aggiunge nulla alla magia di Wistful: è l’unico, piccolo, appunto che mi sento di fare alla bravissima cantante.
Aleggia in certi momenti lo spirito dei migliori Alcest, le chitarre risplendono ed emozionano e la voce di Sylvaine è come una lama di luce che taglia le nebbie e le tenebre.
Saudade sembra figlia degli Isis post-Oceanic, ma più che un rifrangersi di onde, si ha la sensazione di un tramonto estivo che lentamente scolora in una dolce melancholia.
Non posso aggiungere altro, se non consigliare a tutti gli ascoltatori open-minded di aprire anche il cuore e lasciarsi ammaliare da Wistful.

Per quanto possa valere: è già nella mia playlist di fine anno, una classifica piena di meravigliose fanciulle, ora che ci faccio caso. Ma questa è un’altra storia.

Edvard von Doom