Perché siamo degli appassionati terminali di musica e lettura, prima di tutto.

Di tutto ciò che è LIBERA espressione. In un’epoca come questa dove ogni cosa è a disposizione, libera appunto, ma senza alcun tipo di controllo o di filtro, quindi difficilmente raggiungibile senza una guida, senza una direzione.

Perché è da quando abbiamo preso possesso della ragione che non smettiamo di essere curiosi, di cercare cose nuove, meno note. Non ci fermiamo MAI, davanti a niente e nessuno.

Quindi, dopo aver letto l’ennesima testimonianza di prima mano da parte di gente che non sapeva nemmeno dove stava di casa (il riferimento è Journey To The Center Of The Cramps, ovvero la biografia dei mitici Cramps di Dick Porter recentemente tradotta in Italia dai ragazzi di Goodfellas) ma era sicura di quello che faceva, ovvero riportare a galla il suono più malato degli anni ’50, quello delle B-sides di rari ed innominabili 45 giri di rockabilly; e centrifugarlo con gli horror comics e il clima urbano e degradato della New York di metà anni settanta. Erano talmente convinti che, alla fine, hanno avuto ragione loro. In barba a tutti!

E così siamo anche noi. Non ci interessa minimamente, per il momento, avere un obiettivo preciso o, meglio, un punto di arrivo. Ci godiamo il viaggio. Vogliamo condividere i nostri soliti ed insoliti ascolti e letture (tutti, per noi, ineludibilmente da CINQUE STELLE e quasi irrimediabilmente PERDUTI) con quanta più gente possibile. Nel mare magnum indistinto della rete globale occorre più che mai una guida all’ascolto ed alla lettura. Occorrono punti fermi.

Proveremo ad essere un filtro, un catalizzatore magari; con i nostri punti di vista e la nostra attitudine proveremo a fare grandi passi, ad assicurarci le cose migliori che ci sono sul nostro pianeta (per gli altri, vedremo) anche in quest’epoca confusa e infelice.

Non è cosa da poco, lo sappiamo.

Se funzionerà saranno i lettori a dirlo, che sono liberi di criticare o suggerire quello che vogliono.

Allacciate le cinture, si parte.

GLI STELLARI

sabato 28 gennaio 2017

HOCHEN - Simulation
(DL Bandcamp)


Incredibile, ma in rete oggi è possibile trovare degli autentici oggetti volanti non identificati: HOCHEN, one man band di STU LEITER risponde perfettamente a questa oscura categoria.
 Già dalla cover di Simulation, una strana e obliqua foto virata in rosa e azzurro di un tetto e una pianta si intuisce che si è in presenza di una strana cosa.
Il luogo di provenienza è Phoenix (Arizona), ai confini del mondo, ai confini della realtà.
Sotto l’immenso e immutabile sole rosso la visionaria mente di HOCHEN ha formato un lento percorso di invidiabile moderno rock trasversale.
Trenches inizia come una divertente e danzereccia canzone di wave anni ottanta con una voce che rimanda direttamente a una grandissima band di nome WALL OF VOODOO ma poi entra la chitarra con un riff elettrico e definitivo che rimette in gioco tutto e sposta l’asse verso uno stoner desertico e ipnotico intervallato con giocose pause di synth-pop.
Una cosa strana, appunto.
Si resta piacevolmente disorientati ed è solo l’inizio.
Il basso cadenzato e la liquida melodia di chitarra aprono Got a Date con la voce distante che racconta storie senza senso: la chitarra taglia in due il brano con un devastante riff e la batteria prende ritmo e fonde il tutto in salsa post-punk di pregevole fattura (ipotizzo un incrocio tra la Ralph e la Subterranean Records, gloriose etichette non allineate che hanno reso indimenticabile il clima degli anni ottanta).
La vita degli enormi scarafaggi dispersi nel grande nulla viene descritta con dovizia di particolari nella tentacolare Bugs che con una ondulata chitarra slide e la nasale e monotona voce ci spinge direttamente nel deserto e nella sua eterna circolarità temporale.
Un suono magnetico che richiama in egual misura i migliori THIN WHITE ROPE (quelli di Spanish Cave), i WALL OF VOODOO (quelli di Dark Continent) e le cose meno estreme dei CHROME di HELIOS CREED (quelli di 3rd From The Sun).
Difficilmente collocabile in quanto a struttura sonora, Simulation si muove agilmente nella terra di nessuno, difficilmente collocabile anche temporalmente perché sebbene molte cose rimandino direttamente a certi anni ottanta il suono deforme e visionario di HOCHEN è indiscutibilmente figlio dei giorni nostri con tutte le tensioni e contraddizioni che ne conseguono.
L’arpeggio cristallino e la sbilenca cantilena di Dot on a Speck si immergono nel torrido rock duro e claustrofobico dalla forte impronta melodica che sembra provenire da un’altra dimensione.
La lenta e elettrica narcosi di Simulation segue le dune del deserto nel loro continuo rincorrersi alternando furiosi e cadenzati riffs elettrici a melodie di facile memorizzazione.
Credetemi, un disco “volante” caduto sulla terra: impossibile non innamorarsi dopo lo spaesamento iniziale.

Heavy rotation assicurata.

Reverberend

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