ARCHAIA - Archaia
(LP Autoprodotto)
A metà degli anni ’70, tre ragazzi francesi appassionati dei
Magma (Pierrick Le Bras chitarre, tastiere e voce; Michel Munier, basso;
Philippe Bersan, voce, tastiere e percussioni) decidono di formare un gruppo, e
hanno da subito una visione ben precisa di quella che dovrà essere la loro
musica. Niente batteria, solo qualche percussione, il resto è appannaggio di
chitarre, basso e tastiere.
L’unico disco autoprodotto e che porta il loro nome è datato
1977. Ancora oggi risulta essere il più incredibile artefatto sonoro emerso da
tutto l’underground francese di quegli anni. Nel corso del tempo gli Archaïa
sono stati accostati ai vari Univers Zero, Jade Warrior, Arachnoid, King
Crimson (epoca Red), Heldon e ovviamente Magma. A conti fatti, però, l’universo
poetico del gruppo è distante anni luce dalle band sopra elencate. Io piuttosto
citerei i Chrome, per dire.
Come succede sempre, quando si tratta di visionari che si
proiettano ben oltre i limiti del proprio tempo, il disco vendette davvero poco
(la maggior parte delle copie venne distribuita dal gruppo stesso durante i
concerti) e, altrettanto ovvio, oggi gira a cifre iperboliche nel circuito dei
collezionisti. La leggenda narra che vennero registrati dei nastri contenenti
materiale sufficiente per un secondo album, ma all’inizio degli anni ’80 pare
che Le Bras abbia venduto i nastri al mercato delle pulci! Dato che gli altri
componenti del gruppo non possedevano altre copie, ormai il famigerato master
tape sembra perduto per sempre.
Archaïa è un album scurissimo, sfuggente e dannatamente
inquietante. Si potrebbe definire horror music, ma senza neanche un singolo
cliché che il genere prevederebbe. Ogni brano è immerso in una atmosfera
gelida, spersonalizzata (in questo anticipatrice di successive istanze
cold/dark wave), dove i testi abbondano di richiami all’esoterismo più ermetico
e sotterraneo. Se per i Neu! e altri eroi tedeschi si parla di motorik, in
questo caso verrebbe da coniare il termine robotik…
Il disco si apre con Soleil Noir,
che comincia con voci di bambini e suoni che pulsano minacciosi sul fondo
finchè un ritmo quasi da treno non sale in cattedra, accompagnato da synths
spaziali e gelidi, le chitarre sono tremendamente fuzz e grintose, il basso
pulsa che è un piacere. La successiva L’Arche des Mutations
è immersa in un mood krautrock (Harmonia?), grazie ai suoni acuti e pulsanti, i
sintetizzatori spaziano da tonalità alte a suoni bassi, quasi gutturali; la
voce intona melodie alternate a recitativi, un brano intenso e bellissimo. Sur Les Traces Du Vieux Roy è guidata da
tastiere che sembrano bisbigliare come fossero voci, in una bolla di suoni
pulsanti e riverberanti. La Roue ha
profondi suoni di basso, percussioni e synths liquidi e oscuri, al suo interno
una risata va e viene come in un incubo agghiacciante. Ogni brano meriterebbe
una citazione, il livello qualitativo è sempre altissimo, Massa Confusa ha un’introduzione da casa infestata, piena di suoni
elaborati e acquatici, anche dopo l’ingresso della voce l’atmosfera resta
plumbea e claustrofobica. A tratti le percussioni generano un clima quasi
tribale, ritualistico, anche se non saprei dire da quale pianeta arrivi la
suddetta tribù. Nella ristampa in cd pubblicata dalla Soleil Zeuhl nel 1998 ci
sono tre bonus tracks, di cui due dal vivo e con Alain Evrard (tastiere e
percussioni) e Patrick Renard (batteria) al posto di Philippe Bersan. Robots Dans Le Formol ha un ritmo
portentoso e davvero in anticipo sui tempi, da brividi lo scambio
voce-tastiere.
Ascoltando gli Archaïa si ha la strana sensazione di
trovarsi all’interno di una fiaba corrotta, degenerata in incubo, dove tutti i
riferimenti vengono perduti o sovvertiti. Se l’effetto è questo ai nostri
giorni, vengono i brividi a pensare cosa suscitava il suo ascolto nel 1977!
Erano assolutamente originali e senza veri paragoni (se non solo
successivi), sventurati e paradossalmente ancora oggi considerati derivativi a
causa della distribuzione postuma avuta dal disco. In realtà gli Archaïa furono pionieri della specie
più luminosa (si trovano anche nella famosa lista di dischi apparsa sul primo
album dei Nurse With Wound, e Steven Stapleton se ne intende…) al pari di altri
nomi più conosciuti.
Persino il logo con il nome che fronteggia la copertina è in
anticipo sui tempi: ad un occhio attento non può sfuggire la somiglianza con
quelli adottati dai gruppi black metal dagli anni ’90 in poi.
L’aura maledetta che ha
sempre circondato il gruppo ebbe un’ulteriore, tragica conferma tre anni dopo
l’uscita del disco; il bassista Michel Munier si toglie la vita, mettendo definitivamente
la parola fine alla storia degli Archaïa.
Antonello Cresti, nel suo Solchi Sperimentali (Crac Edizioni) definisce questo album “un
parallelo nusicale del romanzo Il Mattino
dei Maghi di Pauwels e Bergier”, davvero non si potrebbe trovare una
definizione migliore.
Se ci riuscite, fate vostra questa distopica perla perduta
nei gorghi dello spazio tempo, non ve ne pentirete affatto, potete credermi.
Edvard von Doom
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