Perché siamo degli appassionati terminali di musica e lettura, prima di tutto.

Di tutto ciò che è LIBERA espressione. In un’epoca come questa dove ogni cosa è a disposizione, libera appunto, ma senza alcun tipo di controllo o di filtro, quindi difficilmente raggiungibile senza una guida, senza una direzione.

Perché è da quando abbiamo preso possesso della ragione che non smettiamo di essere curiosi, di cercare cose nuove, meno note. Non ci fermiamo MAI, davanti a niente e nessuno.

Quindi, dopo aver letto l’ennesima testimonianza di prima mano da parte di gente che non sapeva nemmeno dove stava di casa (il riferimento è Journey To The Center Of The Cramps, ovvero la biografia dei mitici Cramps di Dick Porter recentemente tradotta in Italia dai ragazzi di Goodfellas) ma era sicura di quello che faceva, ovvero riportare a galla il suono più malato degli anni ’50, quello delle B-sides di rari ed innominabili 45 giri di rockabilly; e centrifugarlo con gli horror comics e il clima urbano e degradato della New York di metà anni settanta. Erano talmente convinti che, alla fine, hanno avuto ragione loro. In barba a tutti!

E così siamo anche noi. Non ci interessa minimamente, per il momento, avere un obiettivo preciso o, meglio, un punto di arrivo. Ci godiamo il viaggio. Vogliamo condividere i nostri soliti ed insoliti ascolti e letture (tutti, per noi, ineludibilmente da CINQUE STELLE e quasi irrimediabilmente PERDUTI) con quanta più gente possibile. Nel mare magnum indistinto della rete globale occorre più che mai una guida all’ascolto ed alla lettura. Occorrono punti fermi.

Proveremo ad essere un filtro, un catalizzatore magari; con i nostri punti di vista e la nostra attitudine proveremo a fare grandi passi, ad assicurarci le cose migliori che ci sono sul nostro pianeta (per gli altri, vedremo) anche in quest’epoca confusa e infelice.

Non è cosa da poco, lo sappiamo.

Se funzionerà saranno i lettori a dirlo, che sono liberi di criticare o suggerire quello che vogliono.

Allacciate le cinture, si parte.

GLI STELLARI

mercoledì 7 dicembre 2016

HAIL SPIRIT NOIR - Mayhem In Blue
(CD Dark Essence Records)


Difficile essere greci, di questi tempi. Dall’ esplosione della crisi economica, le condizioni del paese non hanno fatto che peggiorare. Ma si dovrebbe parlare della condizione del popolo, non dei conti. La Grecia vive da anni sull’orlo del baratro, mendicando ciclicamente “aiuti” alle istituzioni economiche europee e mondiali, barattandoli ogni volta con “riforme” che immancabilmente hanno effetti tragici sulla gente comune. La tensione si può toccare con mano ad Atene, Salonicco e in tutta la nazione. Costantemente sul filo del rasoio. Senza alternative, visto che anche chi è stato eletto al governo con un programma anti-austerity si applica con zelo a realizzare ogni diktat che arriva dalla Troika. No, non è facile essere greci, oggi.
Non so dire se e quanto tutto questo abbia influito sugli Hail Spirit Noir, nella composizione di Mayhem In Blue. Di certo so che hanno prodotto in questi anni tre dischi, uno più bello dell’altro.
L’esordio Pneuma scioglieva con successo le primigenie sonorità black metal (ricordiamolo: la Grecia vanta una scena black che per importanza non ha nulla da invidiare a quelle scandinave) in un liquido soundscape pinkfloydiano, mentre il successivo e riuscitissimo Oi Magoi flirtava pesantemente con il jazz. Mayhem In Blue è creatura ancora diversa.
Azzardo: una perfetta fusione di rock psichedelico anni ’70 e spirito black metal.
Compositivamente originale e indovinato, il disco sfrutta una strumentazione non convenzionale, che contempla organo Hammond, flauto, elettronica e chitarre acustiche. Un animale strano, questo Mayhem In Blue, parecchio in certi frangenti, e carnevalesco, e pure swingante. I momenti di ferocia black metal sono ridotti all’osso, la voce è sovente pulita e intelleggibile. Ma non c’è dubbio che si tratti di un lavoro ESTREMO.
In ognuno dei sei brani si trova qualcosa di inaudito, inusitato, sorprendente; tanto che la loro lunghezza (il tutto arriva a 40 minuti) non si avverte, anzi, ci si scopre ad ascoltarlo in loop senza il minimo sforzo.
Nell’iniziale I Mean You Harm ed in Lost In Satan’s Charms si trova una reminiscenza degli A Forest Of Stars, forse per il modo di cantare; mentre la title track  e Riders To Utopia sono percorse da schegge di tastiere che sembrano posizionarsi a cavallo tra garage rock, melodie synth-pop anni ’80 e spezie mediorientali (che ci crediate o no, funziona). Sempre in Lost In Satan’s Charms trovano posto un luminoso banjo (!) e delle campane di grande intensità emotiva. The Cannibal Tribe Came From The Sea (ah, la copertina… Per chi suonerà quella campana? Forse per l’intera nostra civiltà, decaduta ormai a pallida idea di ciò che fu?) si avvita fascinosamente  in spirali di suono magnetiche, alternando momenti di asprezza a slarghi psichedelici sinuosi… Fantastica, da pelle d’oca, giuro.
La chiusa di How To Fly In Blackness è sontuosa: un’intro che parte dalle colonne sonore da film italiano dei ’70 e si trasforma via via in una versione da Kali Yuga dei Pink Floyd; synths avvolgenti e chitarre gilmouriane, un crescendo di abbagliante bellezza striato di rabbia e frustrazione. Sempre sull’orlo dell’Abisso.
Mayhem In Blue attrae in modo quasi ipnotico, anche per l’alternarsi continuo delle emozioni che trasmette; mentre l’atmosfera generale resta oscura e a tratti sardonica. Come fosse la colonna sonora della DECADENZA.
In filigrana si scorge un talento immenso nel songwriting, nell’arrangiamento e nell’abbellimento dei brani con piccoli accorgimenti, sempre diversi ogni volta.
E la cosa migliore è che alla fine non serve catalogare o definire la musica di questo disco, basta ascoltarla.
Ed è tra le più entusiasmanti che possiate ascoltare quest’anno.


Edvard von Doom

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