Perché siamo degli appassionati terminali di musica e lettura, prima di tutto.

Di tutto ciò che è LIBERA espressione. In un’epoca come questa dove ogni cosa è a disposizione, libera appunto, ma senza alcun tipo di controllo o di filtro, quindi difficilmente raggiungibile senza una guida, senza una direzione.

Perché è da quando abbiamo preso possesso della ragione che non smettiamo di essere curiosi, di cercare cose nuove, meno note. Non ci fermiamo MAI, davanti a niente e nessuno.

Quindi, dopo aver letto l’ennesima testimonianza di prima mano da parte di gente che non sapeva nemmeno dove stava di casa (il riferimento è Journey To The Center Of The Cramps, ovvero la biografia dei mitici Cramps di Dick Porter recentemente tradotta in Italia dai ragazzi di Goodfellas) ma era sicura di quello che faceva, ovvero riportare a galla il suono più malato degli anni ’50, quello delle B-sides di rari ed innominabili 45 giri di rockabilly; e centrifugarlo con gli horror comics e il clima urbano e degradato della New York di metà anni settanta. Erano talmente convinti che, alla fine, hanno avuto ragione loro. In barba a tutti!

E così siamo anche noi. Non ci interessa minimamente, per il momento, avere un obiettivo preciso o, meglio, un punto di arrivo. Ci godiamo il viaggio. Vogliamo condividere i nostri soliti ed insoliti ascolti e letture (tutti, per noi, ineludibilmente da CINQUE STELLE e quasi irrimediabilmente PERDUTI) con quanta più gente possibile. Nel mare magnum indistinto della rete globale occorre più che mai una guida all’ascolto ed alla lettura. Occorrono punti fermi.

Proveremo ad essere un filtro, un catalizzatore magari; con i nostri punti di vista e la nostra attitudine proveremo a fare grandi passi, ad assicurarci le cose migliori che ci sono sul nostro pianeta (per gli altri, vedremo) anche in quest’epoca confusa e infelice.

Non è cosa da poco, lo sappiamo.

Se funzionerà saranno i lettori a dirlo, che sono liberi di criticare o suggerire quello che vogliono.

Allacciate le cinture, si parte.

GLI STELLARI

giovedì 22 dicembre 2016

DATURA - Visions Of The Celestial
(CD Cranium Records)


Non sono più il genere di persona che va alla disperata ricerca di cose sconosciute o dimenticate dai più ma quando capita di scoprire cose che rispondono a queste categorie, siccome sono rimasto molto curioso, non perdo occasione di confronto e verifica. E’ una cosa che mi stimola e mi piace ancora parecchio.
Vera linfa vitale.
E’ grazie a un non meno identificato giapponese che, in rete, imprecava contro tutti i cloni dei KYUSS o stoner-derivati o post grunge cloni che sono venuto a conoscenza di questi neo zelandesi DATURA che hanno realizzato due, qui da noi completamente sconosciuti, albums di qualita’ non trascurabile (meno il primo).
Visions For The Celestial vede la luce nel lontano 1999 ma vi assicuro che cercarlo oggi è un dovere per chiunque sia stato preso da qualsiasi tipo di rock duro e psichedelico o cose di questo genere.
Solitamente il peso degli anni, soprattutto in questi generi, si sente eccome, eppure i DATURA sono davvero una band pazzesca: i loro suoni sono ancora oggi sorprendenti per un uso assolutamente smodato di wah-wah e fuzz, per dei riffs di chitarra originali, una voce memorabile, calda e struggente, e una ritmica semplice ma potente e tribale.
Immaginate un power-trio sulla scia di jam bands anni settanta come i MOUNTAIN dei primi due albums (Climbing ! e Nantucket Sleighride, entrambi del 1970) dove chitarre solide e rocciose sono sempre sugli scudi a dominare la scena ma in questo caso sono accompagnati da una voce veramente fuori dal comune (di Craig Williamson, già fondatore degli ambient-psychedelic LAMP OF THE UNIVERSE).
I brani, dall’iniziale e slow spaced out Magnetise che, come lascia intendere il titolo, risulta magnetica e irresistibile, si susseguono con sussulti più veloci in Reaching Out ma saldamente ancorati a reminescenze STOOGES mai scontate e fresche e sorprendenti.
Heavy riffs a cascata con chitarre che sembra incredibile siano state registrate a fine anni novanta e psych trip che raggiungono il punto di non ritorno nelle finali Voyage dai sapori orientali e nel vero Mantra, come da titolo, finale di quindici minuti di pura trance rock psychedelic grooves impossibile da raggiungere.
Mi stupisco veramente di non averne mai sentito ne’ letto da nessuna parte perché sono veramente una band di peso ed ascoltata oggi sono ancora incredibilmente attuali e provo un brivido sulla schiena solo all’idea di paragonarli a delle bands, anche poi diventate famose, che occupavano posti rilevanti nella scena rock degli anni novanta.
Sono i misteri del ROCK, misteri che sempre ci accompagneranno e che rendono la MUSICA sempre NECESSARIA.
C’è e ci sarà sempre questa certezza per noi appassionati di musica e di rock, sempre alla ricerca del diamante perduto nelle sabbie del tempo.
A volte sorprende anche la rete e devo ringraziare lo sconosciuto giapponese che ha permesso a me e a quanti leggeranno queste poche righe questa notevole scoperta.

ROCK DUDES…

Reverberend

lunedì 12 dicembre 2016

Il meglio del 2016. Secondo gli Stellari.

REVERBEREND ha così sentenziato:

Playlist 2016
1. NICK CAVE - Skeleton Tree  Epica, Etica, Estetica e Contenuto... Oltre.
2. 40 WATT SUN - Wider Than The Sky  Il Cantautore nel post-moderno.
3. SINISTRO - Semente  Tensione e slow-motion rock, con una sensibilità da Femme                 Fatale.
4. DAVID BOWIE - Blackstar  Polvere di stelle negli interstizi della Metropoli.
5. MARS RED SKY - Apex III  Suono heavy nella visionarietà siderale.
6. WITCHCRAFT - Nucleus  Il magma espanso del doom tra le pieghe del modernismo.
7. JOE PURDY - Who Will Be Next?  L'intensità acustica vista dalla Generazione X.
8. WOLF PEOPLE - Ruins  Obliquo folk inglese che guarda lo stoner iper-elettrico.
9. LUCINDA WILLIAMS - The Ghost Of Highway 20  L'essenza sfocata del suono delle            highways e delle Strade Blu.
10. RAY LAMONTAGNE - Ouroboros  Un morbido e inaspettato viaggio nello Spazio.
11. DATURA4 - Hairy Mountain  Il sogno garage-psychedelico che irrompe nella realtà.
12. LEONARD COHEN - You Want It Darker  L'oscurità alla fine del tunnel.
13. SHELTERS - Shelters  Canzoni perfette tra classicismo e coolness odierna.
14. MICHAEL KIWANUKA - Love & Hate  La Galassia Black in un Universo differente.
15. PIERS FACCINI - I Dreamed An Island  I suoni del Mediterraneo nella piazza globale.

Canzone dell'Anno
Out There da Wildwood Calling di Bo Ramsey  Il suono dell'anima, fluttuando sui fantasmi nascosti dell'America perduta.

Reissues
1. TERRY DOLAN - Terry Dolan  Il rock negli anni Settanta, come una stella dal cielo.
2. TRAD GRAS OCH STENAR - The Anthology (3CD Box)  Un prezioso oggetto non                identificato dal Cosmo.
3. WEIRD LIGHT - Doomicvs Vobiscum  Il doom fatto in casa alla conquista del rock.
4. VV.AA. - Wayfaring Strangers:Cosmic American Music  Il velluto underground della           musica cosmica americana, pensata da Graham Parson.

Libro dell'Anno
HANYA YANAGIHARA - Una Vita Come Tante  Il dolore interiore e l'amore assoluto.

Film dell'Anno
TOM FORD - Animali Notturni  Una fotografia disturbata dell'animo umano.


EDVARD VON DOOM ha così deciso:

Playlist 2016
1. HAIL SPIRIT NOIR - Mayhem In Blue  Perchè tocca l'anima. Di taglio.
2. ORANSSI PAZUZU - Varahtelija  Letale black-psychedelia post atomica.
3. MYRKUR - Mausoleum  La luce del Nord. Un Kveldsfanger al femminile.
4. SINISTRO - Semente  Un colpo di fulmine clamoroso.
5. DAVID BOWIE - Blackstar  Il più bel canto del cigno di sempre.
6. ATOMIKYLA - Kerality  Radioattività dallo spazio profondo.
7. SYLVAINE - Wistful  La fata dei boschi.
8. DARKHER - Realms  La fata di altri boschi.
9. SPIRITUS MORTIS - The Year Is One  Il disco doom dell'anno.
10. BLUES PILLS - Lady In Gold  Saranno anche nati vecchi, ma avercene come loro.
11. VEKTOR - Terminal Redux  I Rush passati al frullatore. Mostruosi.
12. LEGENDARY PINK DOTS - Pages Of Aquarius  La solita classe inarrivabile.
13. DISCHARGE - End Of Days  Perchè al cuore non si comanda. Alive and proud!
14. MESSA - Belfry  Sorprendente, inaspettato e bellissimo.
15. JENNY HVAL - Blood Bitch  Un'altra magia di idee, voce e suono.

Reissues
ANGEL WITCH - Angel Witch (LP)  Il più bel disco della NWOBHM.
SAVAGE - Loose'n'Lethal (LP)  Il secondo più bel disco della NWOBHM.
THE DETROIT COBRAS - Life, Love And Leaving (LP)  Sexy da far paura.
CIRITH UNGOL - Paradise Lost (LP)  Era ora, cazzo, dopo 25 anni.
WEIRD LIGHT - Doomicvs Vobiscvm (CD)  Sepoltura Lacrimata.

Libro dell'Anno
ALESSANDRO ZIGNANI - La Storia Negata  Rimettere le cose a posto, nel '900 musicale italiano.

Film dell'Anno
Niente settima arte per me. Mi basta e avanza la realtà.


domenica 11 dicembre 2016

PAUL CAUTHEN - My Gospel
(CD Lightning Rod Records)


Ci sono in giro tantissimi cantautori e non è certo facile trovarsi di fronte ad un talento; a un artista che oltre a essere dotato di un carisma particolare è anche capace di scrivere ottime canzoni, di crearsi un proprio spazio in un mondo così affollato come quello musicale.
Non conoscevo assolutamente PAUL COTHEN e questo My Gospel è il suo debutto almeno da solista (prima aveva formato un duo, SONS OF FATHERS, con cui aveva realizzato due buoni albums segnalati da ROLLING STONES MAGAZINE, ma niente più).
E’ cresciuto con la musica intorno perché il padre ha suonato con tanta gente famosa, gente del calibro di WILLIE NELSON mica bruscolini, poi con le due sorelle è entrato a far parte del coro della chiesa vicino a casa.
In casa giravano parecchi dischi di ogni genere, con prevalenza di gente come ELVIS PRESLEY, ROY ORBISON e cose anni cinquanta.
Insomma un bel background che gli è stato davvero utile per sviluppare le sue sicuramente innate doti canore, la composizione è venuta dopo, strada facendo.
My Gospel è stato registrato in diversi famosi studi di registrazione come i FAME STUDIOS (MUSCLE SHOALS) o quelli di proprietà di WILLIE NELSON o i SARGENT RECORDERS in L.A..
Un’attenzione particolare dunque per i suoni, vintage, caldi e avvolgenti e una strumentazione ricca ma senza MAI strafare.
Lo stile di PAUL CAUTHEN dotato di una splendida voce baritonale, tra ROY ORBISON per le inflessioni anni cinquanta e JOHNNY CASH, è un originale miscela composta in parti uguali di country vecchia maniera, gospel, rock ed un  pizzico di americana tanto per gradire.
Ci troviamo di fronte ad un gran disco, lo si capisce immediatamente dopo aver ascoltato l’iniziale Still Drivin’ , nella quale con la sua voce decisamente sugli scudi ci fa capire chi comanda.
La strumentazione è ricca dicevamo ma è sempre al servizio del brano, nulla è in eccesso, la parte ritmica è moderna e si integra alla perfezione con riverberi anni cinquanta, voce al centro della scena e backing vocals solide e gospel.
Nel disco ci sono almeno tre brani che potrebbero entrare nelle case di milioni di persone per quel magico hook/catchy che non danneggia minimamente l’originalità dei brani: sto’ parlando di I’ll Be The One, la country & western oriented Saddle ed anche Marfa Lights.
Ma c’è anche Once You’re Gone, uno strano e improbabile incontro di BRUCE SPRINGSTEEN e JOHNNY CASH se proprio vogliamo azzardare.
Ci sono poi tre splendide ballate a cavallo tra country tradizionale e gospel (Be There Soon, Hanging Out The Line e la finale stupenda My Gospel), struggenti e con melodie davvero trovate.
Un posto speciale per la ballata notturna Let It Burn, cadenzata e con contrappunto di piano a sostegno di una voce davvero speciale e difficile da dimenticare.
Un disco che ci accompagnerà a lungo. Cercatelo e ascoltatelo attentamente, non potrete più farne a meno.
Una delle sorprese dell’anno, purtroppo arrivata troppo tardi per entrare nella top ten.
E’ solo questione di tempo, ne sentirete parlare. Statene certi.

Reverberend

sabato 10 dicembre 2016

VV.AA. - Dream Forever
(CD Mojo Magazine Jan.2017)


Non sono solito comprare spesso magazines straniere: reputo le più interessanti, a parte l’inglese SHINDIG! e l’americana UGLY THINGS le inglesi MOJO appunto e UNCUT.
In questo caso mi è caduto l’occhio sul CD allegato a questo numero di Gennaio del prossimo anno alle porte e, siccome non avevo nessuno dei brani contenuti e il tema non mi era indifferente ho ceduto all’acquisto.
In onore di KATE BUSH che dopo trentacinque anni ha creato uno show multi mediale su più livelli, musicale e al tempo stesso visivo, la redazione di MOJO ha pensato di omaggiare gli acquirenti della rivista con un CD di vari artisti contemporanei che vanno da ambientazioni molto cinematiche e tranquille, tradizionali ma con momenti di euforia moderna e moderatamente elettronica.
Chiamatelo pure DREAM POP, perché in fondo così si è deciso di etichettarlo. Almeno la critica.
Un fenomeno che non ha cedimenti di sorta in questa epoca confusa e isterica che forse, tra i sogni e bisogni, nasconde una voglia di serena tranquillità tra un dovere e un impegno impossibili da prorogare.
Ecco allora, da una frase di KATE BUSH un “qualcosa in un sogno tra il sonno e la veglia” tra le pieghe di quelle tenui ed estese pulsazioni che albergano nella più quieta elettronica di stampo indie.
POLICA, con la brezza sensuale di Lately , ritmicamente ondulata abbraccia a meraviglia la moderna alterità pop e mantiene costante una ricerca verso forme differenti di brano condiviso dalla massa operosa.
Una lieve sensazione di benessere quella consegnata da ALBUM LEAF e la loro Never Far che si distingue tra le increspature dell’oceano di insistite armonie.
Ecco quindi le commoventi astrazioni melodiche di Atomos VI  di A WINGED VICTORY FOR THE SULLEN ovvero ADAM WILTZIE degli STAR OF THE LID che collabora per la piece teatrale del 2013, Scored For Wayne McGregor, con lo straordinario pianista e polistrumentista DUSTIN O’HALLORAN stupendoci, come mai prima, con un vellutato paradiso di distese note elegiache.
L’incanto prosegue con la luce romantica e innocente di THE ANCHORESS e la sua Bury Me con un’austera classicità tra quiete e melodia come una delicata cascata di petali di rosa.
Suggestiva, tra minimalismo anni settanta e sconosciute colonne sonore di b-movie dello stesso periodo, e sorprendente tra contrappunti di estrazione classica e magmatico modernismo pop la compositrice e film maker texana (Austin per la precisione) SARAH LIPSTATE in arte NOVELLER e la sua Corridors che ci anticipa il suo atteso debutto A Pink Sunset For No One Released che uscirà il 10 Febbraio per FIRE REC..
Strepitoso anche il disfacimento minimal techno attuato dal trio di estrazione jazz DAWN OF MIDI e la loro The Hills che con un’elegante ripetizione ritmica richiama la perfezione basic channel di MORITZ VON OSWALD e la porta a flirtare con memorie dello stratosferico ARTHUR RUSSELL.
Decisamente più pop oriented ma non certo priva di fascino I Will Follow di AMBER ARCADES che avvolge con la sua dolce solarità sciolta nei ricordi un’estate da non dimenticare.
Potrebbe essere un magico posto dove vivere Porz Goret  raccontato in chiusura con la consueta eleganza e gentilezza da YANN TIERSEN: poche e decise note di elevato contenuto emotivo.
Decisamente consigliato per una visione d’insieme sull’oceano di pop sognante in continuo movimento tra le pieghe della nostra quotidianità.
Buon ascolto…

Fabio Reverberend Avaro

venerdì 9 dicembre 2016

THE FRIGHTNRS - Nothing More To Say
(CD Daptone Records)


C’è stato un periodo, fine anni ottanta, nel quale il sottoscritto, ogni qualvolta gli fosse possibile, girava tutti gli anfratti londinesi alla ricerca di dischi rocksteady, bluebeat, ska e ciò che gravitava intorno al mondo degli original skins (nulla a che fare con gli skinhead figli degli anni settanta e del punk di la’ da venire): quindi tutta musica giamaicana o inglese della prima metà degli anni sessanta e oltre.
Beh, non immaginate quanto ben di Dio ci sia nascosto in generi apparentemente dai più non considerati cool ma invece veramente sorprendenti.
Oltre al noto negozio DADDY KOOL, ricordo in Soho, che si andava a cercare dischi, giuro, all’entrata di un bordello dove il giovedì pomeriggio arrivavano dei loschi figuri ultra tatuati che esponevano delle cassette di legno zeppe di sconosciuti capolavori che arrivavano da chissa’ dove e forse era proprio meglio non chiederselo.
Non parlo solo di nomi molto noti come KEN BOOTHE o DESMOND DEKKER (che tra l’altro ho visto a Londra al mitico ASTORIA THEATRE con i TROJANS del grande GAZ MAYALL, figlio di JOHN MAYALL, e MAROON TOWN nel 1987) ma anche di tutto un sottobosco di band meno note ma seminali come per esempio i leggendari SIMARYP di SKINHEAD MOONSTOMP, i PARAGONS o il grandissimo ALTON ELLIS soltanto per citarne alcuni.
Immaginate il mio stupore durante l’ascolto di questo straordinario disco assolutamente fuori dal tempo, da ogni tempo.
I FRIGHTNRS erano (hanno perso il loro FORMIDABILE cantante DAN KLEIN a causa di una malattia degenerativa che lo ha letteralmente stroncato nel giugno di quest’anno!) una formazione che poteva far invidia ai migliori originali dell’epoca d’oro se mai ce n’è stata una.
Una voce struggente e incredibile (per farvi capire meglio siamo dalle parti di Live Good di KEN BOOTHE per il sottoscritto uno dei brani più belli di sempre) integrata in una miscela sonora realmente inappuntabile con ritmi in levare e melodie inarrivabili.
Si fatica a credere che una band del genere possa esistere nella nostra contemporaneità.
I suoni e i brani, la bravura di questi quattro rude boys lasciano a bocca aperta: si rischia davvero di cadere nella più trita nostalgia ma, oggi, è davvero impossibile pensare che possa esistere una band così. Eppure Nothing More To Say  è stato registrato per dimostrare esattamente il contrario ovvero che tutto è possibile quando la passione e la voglia sono le prime priorità. La voglia e la costanza necessarie per raggiungere un sogno apparentemente assurdo e forse persino stupido agli occhi della maggioranza silenziosa.
Commoventi brani come What Have I Done o Purple (quest’ultimo, non so’ spiegarmi il motivo ma mi ha ricordato tanto un formidabile disco di PHILLIS DILLON , One Life To Live, uscito per la DUKE REID REC. del giro TREASURE ISLE, un po’ come dire le sorelle minori di STUDIO ONE e COXSONE REC.).
Come resistere all’andamento killer di Trouble In Here, con tanto di assolo centrale di armonica, e non lasciarsi andare e stramazzare sul dancefloor con tutti gli altri all-nighters ballando spalla a spalla!
Quante emozioni ascoltando Till Then (certo per me rimane anche il ricordo incredibilmente vivido di un amico, Berny, che non è più con noi) con la voce che si alza verso il cielo verso un mondo migliore.

Una scelta di cuore, controcorrente e difficile ma non impossibile.

Reverberend

CHILD - Blueside
(CD Kozmik Artifact)


I CHILD sono una giovane e ancora purtroppo sconosciuta band australiana giunta, con questo Blueside, al secondo disco dopo l’omonimo esordio di due anni orsono.
Quando avevo ascoltato, per la prima volta, il loro esordio ero sobbalzato sulla poltrona non riuscendo a capacitarmi di fronte a tanto talento messo al servizio dei brani di stupefacente freschezza in un genere, quello del rock blues anche se iper amplificato, certamente saturo e con poche prospettive di sbocco.
Non sapevo proprio cosa aspettarmi da un disco nuovo, non riuscivo nemmeno a immaginare come avrebbero potuto evolversi o semplicemente diversificare la loro formula già perfetta.
Credetemi, i CHILD sono una band P-A-Z-Z-E-S-C-A senza mezzi termini: le risposte a tutte le possibili e lecite domande sono contenute in Blueside.
Non so bene da dove iniziare ma ci provo ugualmente perché ne vale la pena.
L’opener è un brano stranamente intitolato Nailed To The Cross  (si inizia dalla fine….) che ci presenta la band al meglio in un territorio di cadenzato rock-blues con suono vintage ma saldamente ancorato alla modernità con una voce assoluta padrona della scena, calda, possente e struggente sino a quando non entra in scena una chitarra elettrica liquida e psichedelica supportata da un organo che rende il suono ancora più solido.
It’s Cruel To Be Kind prosegue con riverberi ultra-terreni di traditional blues con le vocals sempre sugli scudi che si alternano a fasi iper atomiche di elettricità dalla profondità sorprendente che si adagia su ritmi potenti e tribali.
Stupisce la scioltezza e la creativa interpretazione di standard blues ormai assimilati alla perfezione: è fondamentale il ruolo dei volumi, di un suono incredibile e dell’improvvisazione che li proietta direttamente in una dimensione spacey.
C’è un equilibrio di virtuosismi messi al servizio della canzone che rende i CHILD inarrivabili oggi in questo genere.
2000 Light Years From Home per dirla alla STONES: davvero sembrano provenire da un altro mondo.
Vorrei riuscire a iniettarmi questo sound e non separarmi MAI da esso…
E’ davvero arduo trovare parole per descrivere la finale The Man, vero punto di non ritorno per chiunque si voglia confrontare con il ROCK: MUSICA TOTALE, ecco forse solo la struttura elicoidale del dna connaturata con il mondo incontaminato e primordiale raffigurata sulla magnifica cover di questo CD può darne una possibile idea. La natura, l’essenza del blues da cui tutto è derivato e si è sviluppato, che abbraccia humus di stasi quasi ambientale per crescere in direzione elettrica con la chitarra che disegna assoli astratti ma profondamente armonici e la voce calda e sofferta che ci accompagna oltre il muro, apparentemente invalicabile, del noto.
CINQUE FOTTUTE STELLE, credetemi.

Reverberend

mercoledì 7 dicembre 2016

HAIL SPIRIT NOIR - Mayhem In Blue
(CD Dark Essence Records)


Difficile essere greci, di questi tempi. Dall’ esplosione della crisi economica, le condizioni del paese non hanno fatto che peggiorare. Ma si dovrebbe parlare della condizione del popolo, non dei conti. La Grecia vive da anni sull’orlo del baratro, mendicando ciclicamente “aiuti” alle istituzioni economiche europee e mondiali, barattandoli ogni volta con “riforme” che immancabilmente hanno effetti tragici sulla gente comune. La tensione si può toccare con mano ad Atene, Salonicco e in tutta la nazione. Costantemente sul filo del rasoio. Senza alternative, visto che anche chi è stato eletto al governo con un programma anti-austerity si applica con zelo a realizzare ogni diktat che arriva dalla Troika. No, non è facile essere greci, oggi.
Non so dire se e quanto tutto questo abbia influito sugli Hail Spirit Noir, nella composizione di Mayhem In Blue. Di certo so che hanno prodotto in questi anni tre dischi, uno più bello dell’altro.
L’esordio Pneuma scioglieva con successo le primigenie sonorità black metal (ricordiamolo: la Grecia vanta una scena black che per importanza non ha nulla da invidiare a quelle scandinave) in un liquido soundscape pinkfloydiano, mentre il successivo e riuscitissimo Oi Magoi flirtava pesantemente con il jazz. Mayhem In Blue è creatura ancora diversa.
Azzardo: una perfetta fusione di rock psichedelico anni ’70 e spirito black metal.
Compositivamente originale e indovinato, il disco sfrutta una strumentazione non convenzionale, che contempla organo Hammond, flauto, elettronica e chitarre acustiche. Un animale strano, questo Mayhem In Blue, parecchio in certi frangenti, e carnevalesco, e pure swingante. I momenti di ferocia black metal sono ridotti all’osso, la voce è sovente pulita e intelleggibile. Ma non c’è dubbio che si tratti di un lavoro ESTREMO.
In ognuno dei sei brani si trova qualcosa di inaudito, inusitato, sorprendente; tanto che la loro lunghezza (il tutto arriva a 40 minuti) non si avverte, anzi, ci si scopre ad ascoltarlo in loop senza il minimo sforzo.
Nell’iniziale I Mean You Harm ed in Lost In Satan’s Charms si trova una reminiscenza degli A Forest Of Stars, forse per il modo di cantare; mentre la title track  e Riders To Utopia sono percorse da schegge di tastiere che sembrano posizionarsi a cavallo tra garage rock, melodie synth-pop anni ’80 e spezie mediorientali (che ci crediate o no, funziona). Sempre in Lost In Satan’s Charms trovano posto un luminoso banjo (!) e delle campane di grande intensità emotiva. The Cannibal Tribe Came From The Sea (ah, la copertina… Per chi suonerà quella campana? Forse per l’intera nostra civiltà, decaduta ormai a pallida idea di ciò che fu?) si avvita fascinosamente  in spirali di suono magnetiche, alternando momenti di asprezza a slarghi psichedelici sinuosi… Fantastica, da pelle d’oca, giuro.
La chiusa di How To Fly In Blackness è sontuosa: un’intro che parte dalle colonne sonore da film italiano dei ’70 e si trasforma via via in una versione da Kali Yuga dei Pink Floyd; synths avvolgenti e chitarre gilmouriane, un crescendo di abbagliante bellezza striato di rabbia e frustrazione. Sempre sull’orlo dell’Abisso.
Mayhem In Blue attrae in modo quasi ipnotico, anche per l’alternarsi continuo delle emozioni che trasmette; mentre l’atmosfera generale resta oscura e a tratti sardonica. Come fosse la colonna sonora della DECADENZA.
In filigrana si scorge un talento immenso nel songwriting, nell’arrangiamento e nell’abbellimento dei brani con piccoli accorgimenti, sempre diversi ogni volta.
E la cosa migliore è che alla fine non serve catalogare o definire la musica di questo disco, basta ascoltarla.
Ed è tra le più entusiasmanti che possiate ascoltare quest’anno.


Edvard von Doom

sabato 3 dicembre 2016

SPIRITUS MORTIS - The Year Is One
(CD Svart Records)


Sollecitato dal buon Reverberend a scrivere di questo cd, devo iniziare con il fare ammenda: pur essendo The Year Is One il loro quarto disco, non ho mai approfondito come avrei dovuto il loro lavoro. Forse perchè pensavo che la presenza di Sami Hynninen alla voce li ponesse nella categoria degli epigoni in minore di Reverend Bizarre e Lord Vicar, nei quali il cantante ha militato in passato. Che errore marchiano, ho fatto! Io, poi, che mi firmo von Doom…
Bene, dopo avere svuotato il posacenere stracolmo sulla mia inutile crapa, ed aver recuperato la dignità con una full immersion dei loro dischi, eccomi pronto a scrivere di questo masterpiece.
Avvolto in una copertina che dire bella è poco (si tratta di un particolare dal dipinto Il Naufragio Della Speranza di Caspar David Friedrich, pittore romantico e DOOM da morire), questo album è uno dei vertici assoluti in campo metallico, e non solo, di questo 2016.
Con The Year Is One, i finlandesi hanno realizzato uno stupefacente tour le cui tappe toccano praticamente tutti i sotto-generi del doom: dal classico, all’epico e all’occulto; il tutto però, mantenendo una coesione ed un’ispirazione elevatissime. In quanti possono vantarsi di questo, in un ambito statico come questo? Ben pochi, miei cari, ben pochi.
L’opener Robe Of Ectoplasm è una bomba che ricorda le prime cose dei Grand Magus: un corpo hard rock che contiene uno spirito doom immacolato, perfetta per iniziare le danze. Se poi volessimo istituire il premio Canzone Doom dell’Anno, la seguente I Am A Name On Your Funeral Wreath potrebbe vincerlo: la voce di Sami sembra miracolosamente prendere le sembianze di Scott Reagers e il suono pesante e ferale rimanda appunto ai migliori Saint Vitus. Si chiama PERFEZIONE, e ogni volta che la sento me ne convinco di più.
Con Babalon Working cambiamo ancora atmosfera e ci dirigiamo verso lidi limacciosi che una volta erano la forza di una band indimenticabile come i Solitude Aeternus: pesanti si, ma anche melodici ed evocativi. Altra meraviglia, signori, è Jesus Christ, Son Of Satan; esattamente a metà strada tra i Black Sabbath ed i Cathedral.
E a questo punto potrei anche smettere di pigiare sui tasti, tanto già adesso questo disco si merita l’adorazione eterna di ogni doomster che si rispetti. Ma mica finisce qui…
Holiday In A Cemetary si rivolge di nuovo ai Saint Vitus, con una performance di Hynninen superlativa, mentre narra di necrofilia ed altre prelibatezze.  World Of No Light ci trasporta invece in un clima epico, memore della lezione dei Pallbearer e dei Warning. Ma la cosa davvero impressionante è che, nonostante tutto il name-dropping che ho sciorinato finora, la personalità degli Spiritus Mortis appare vivida e convincente, grazie ad una capacità di scrittura incredibile ed efficacissima. Prova ne sia che i 53 minuti di durata del disco scorrono via che quasi non ci si accorge, e in questo genere succede solo con i capolavori, punto e basta.
Rimarchevole, poi, la crescita di Sami Hynninen come cantante: non lo ricordavo così efficace nei lavori precedenti con i Reverend Bizarre. Chapeau!
Nota di merito (sarebbe meglio una lode, va..) ai chitarristi Jussi Maijala e Kari Lavila, i cui riff si susseguono incessantemente senza un attimo di cedimento, con grande gusto e raffinatezza, e i solismi non sono mai a sproposito e perfettamente inseriti nell’economia dei brani.
Ognuno la pensi come vuole, ma per il sottoscritto in cima all’Olimpo Doom quest’anno ci sono gli Spiritus Mortis e pochi altri.

Disco semplicemente INDISPENSABILE.

Edvard von Doom

FAY HALLAM - House Of Now
(CD Well Suspect Records)


Mi sono innamorato di FAY HALLAM nel lontano 1985 quando ho comprato il primo disco, Rhythm And Soul , dei suoi MAKIN’ TIME: è stato il classico colpo di fulmine.
Con il passare degli anni non mi ha mai tradito proponendo SEMPRE musica originale ed esclusiva, magari non per tutti ma per tanti sicuramente.
Sono anche andato a Londra a trovarla quando era felicemente sposata con GRAHAM DAY (dispotico leader dei PRISONERS) e suonavano insieme in quella miracolosa band chiamata PRIME MOVERS che macinava solido hard-progressive-beat che, in alcuni casi, ricordava i primi DEEP PURPLE, quelli di Shades Of…, con FAY a fare egregiamente la parte di JOHN LORD.
Il matrimonio, probabilmente impossibile, è fallito ma FAY non si è persa d’animo ed ha continuato a comporre il suo fantastico sound ora con influenze della migliore JULIE DRISCOLL ora con profumi bossa-jazz delicati ed eleganti (come nell’ultimo splendido Corona dell’anno scorso).
A differenza di GRAHAM DAY che è rimasto ancorato al sound di sempre quindi fortemente influenzato dal garage dei medi sessanta, da JIMI HENDRIX e dalle colonne sonore di oscure serie televisive di quegli anni (come dimostra anche l’ultimo disco a nome THE SENIOR SERVICE ovvero The Girl In A Glass Case) FAY ha modificato il suo modo di comporre senza tradire le influenze iniziali quindi tenendo ben stretti i riferimenti ai mitici anni sessanta ma inglobando anche influenze più legate agli anni settanta (certo progressive inglese di scuola BRIAN AUGER ed i suoi TRINITY) come anche influenze di certa Bossanova dai sapori più malinconici e riflessivi.
Penso che proprio ora FAY stia raccogliendo grandi soddisfazioni con un più ampio consenso di pubblico, profondamente meritato, e con questo nuovo ed inaspettato House Of Now la situazione non potrà che migliorare per lei.
Da notare che l’etichetta è la WELL SUPSECT ovvero la nuova etichetta di EDDIE PILLER che con GILLES PETERSON ha fondato in passato la storica ACID JAZZ RECORDS dando origine a praticamente tutto ciò che è successo dopo in ambito grooves, world, comprese tutte le derive garage-beat di ciò che è rimasto di quella scena.
House of now inizia immediatamente con un irresistibile groove cadenzato e coinvolgente che apre il brano all’entrata della voce calda e pastosa di FAY che, al solito,  ci guida attraverso meraviglie sonore dal sapore caraibico ed inaspettato.
Do You Know How To Love me ci regala un classico refrain memorabile ed ancora la magica voce di FAY sugli scudi: una ballata davvero splendida e da ascoltare a nastro.
Ascoltare un disco di FAY HALLAM mi dona una sensazione bellissima paragonabile a quando si torna a casa dopo una giornata di lavoro. E’ difficile scriverlo in altri modi. Spero riusciate a comprendere ciò che voglio dire. Una sensazione di calore avvolgente, di coccole, di affetto.
Drowning prosegue al meglio con un’altra ballata dallo stampo classico, con voce trattata e le note che scorrono veloci lasciando un segno indelebile.
Non voglio descrivervi tutti e tredici i brani, voglio lasciarvi la sorpresa di scoprirli durante l’ascolto.
E’ tutto al posto giusto in questo disco, di stampo classico, ma c’è una stupenda sensazione di freschezza che solo i grandi riescono a creare componendo un brano dalla struttura tradizionale.
Ed è proprio questo che, almeno ai miei occhi, rende FAY HALLAM una musicista tra le migliori di oggi.
Ha sempre seguito la sua strada raccogliendo sicuramente meno di quanto abbia seminato ma questo non è MAI stato un problema.
Continuerà SEMPRE così, seguendo il suo cuore e la sua passione di sempre: la musica.
Non è detto che magari, meglio tardi che mai, potrebbe pure avere dei riscontri inaspettati.
Ma questo ribadisco, da molto tempo è una certezza, non è mai stato un problema e non lo sarà neanche in futuro. Al prossimo appuntamento cara FAY e grazie per questo tuo nuovo dono.
Un dono del cielo ed un artista in stato di grazia.

Reverberend

WOLFTONE - Bring Down The Sun
(CD Bandcamp)


L’ascolto di Bring Down The Sun mi ha sorpreso.
Non conoscevo minimamente questi WOLFTONE olandesi. Mai sentito parlare di questa band.
Il loro è un sound completamente immerso nella cultura anni sessanta fatta di brani semplici devastati da massicce dosi di fuzz, con chitarre sempre sugli scudi, ritmi mid-tempo perfetti e quadrati e voce pastosa con melodie indovinate ma mai scontate.
Una formula che non ha niente di nuovo. Eppure, eppure... Durante l’ascolto i brani scivolano come acqua sulla pietre. Si rinizia un altro ascolto e la cosa si ripete… Una meraviglia.
Oggi non è facile, almeno in questo ambito, trovare una band come i WOLFTONE.
E’ facile intuire che quello che guida questi ragazzi, non più giovanissimi, è solo la passione e gli ascolti compulsivi di oscure compilations dei sixties più nascosti e degenerati.
Fate conto che queste registrazioni sono del 2015 e nessuno si è accorto di loro. NESSUNO!
I’m Out inizia con un riff incisivo scolpito nella pietra che si stampa direttamente nel cervello: vengono in mente i migliori SEEDS di SKY SAXON!
E’ ovvio che nei sixties non era possibile avere un fuzz così devastante ma i WOLFTONE ne fanno un uso al servizio della canzone, pieno di riverberi e con assoli perfetti e iper-coinvolgenti.
I Can’t Reach You è un CAPOLAVORO: semplicemente perfetto nella sua semplicità con il coro di doppie voci, maschile e femminile, che lo rende irraggiungibile.
Ricordano per molti versi e per restare più vicino a noi, nella nostra epoca, i BABY WOODROSE ma risultano più freschi e diretti.
Should Have Been è un altro brano spettacolare con giri di basso memorabili e ritmi mid-tempo che accompagnano la chitarra verso il coro da mandare a memoria. Christine è una lenta e malinconica ballata dove è la voce a farla da padrone sino a quando la chitarra entra con un prolungato assolo spaced-out.: struggente!
Il loro suono è molto pulito e ordinato anche se mooooolto elettrico; forse il loro segreto è proprio questo.
Hanno pensato a comporre belle canzoni e non solo al suono, con melodie vincenti che si integrano alla perfezione con il loro suono garage sino al midollo ma anche molto duro.
Come se l’elettricità propria di una band come i BLUE CHEER si integrasse con i riffs geometrici dei SONICS!
I’ll Never Change, altra ballatona malinconica e melodica che letteralmente esplode in epici cori sostenuti impeccabilmente con un semplice arpeggio elettrico che la rende unica e sfocia in assolo pulito e incisivo di chitarra. La formula si ripete in tutti e undici i brani di questo Bring Down The Sun.
Semplicemente una cosa che funziona a meraviglia.
HEAVY ROTATION ASSICURATA, credetemi.

Reverberend