Perché siamo degli appassionati terminali di musica e lettura, prima di tutto.

Di tutto ciò che è LIBERA espressione. In un’epoca come questa dove ogni cosa è a disposizione, libera appunto, ma senza alcun tipo di controllo o di filtro, quindi difficilmente raggiungibile senza una guida, senza una direzione.

Perché è da quando abbiamo preso possesso della ragione che non smettiamo di essere curiosi, di cercare cose nuove, meno note. Non ci fermiamo MAI, davanti a niente e nessuno.

Quindi, dopo aver letto l’ennesima testimonianza di prima mano da parte di gente che non sapeva nemmeno dove stava di casa (il riferimento è Journey To The Center Of The Cramps, ovvero la biografia dei mitici Cramps di Dick Porter recentemente tradotta in Italia dai ragazzi di Goodfellas) ma era sicura di quello che faceva, ovvero riportare a galla il suono più malato degli anni ’50, quello delle B-sides di rari ed innominabili 45 giri di rockabilly; e centrifugarlo con gli horror comics e il clima urbano e degradato della New York di metà anni settanta. Erano talmente convinti che, alla fine, hanno avuto ragione loro. In barba a tutti!

E così siamo anche noi. Non ci interessa minimamente, per il momento, avere un obiettivo preciso o, meglio, un punto di arrivo. Ci godiamo il viaggio. Vogliamo condividere i nostri soliti ed insoliti ascolti e letture (tutti, per noi, ineludibilmente da CINQUE STELLE e quasi irrimediabilmente PERDUTI) con quanta più gente possibile. Nel mare magnum indistinto della rete globale occorre più che mai una guida all’ascolto ed alla lettura. Occorrono punti fermi.

Proveremo ad essere un filtro, un catalizzatore magari; con i nostri punti di vista e la nostra attitudine proveremo a fare grandi passi, ad assicurarci le cose migliori che ci sono sul nostro pianeta (per gli altri, vedremo) anche in quest’epoca confusa e infelice.

Non è cosa da poco, lo sappiamo.

Se funzionerà saranno i lettori a dirlo, che sono liberi di criticare o suggerire quello che vogliono.

Allacciate le cinture, si parte.

GLI STELLARI

giovedì 15 settembre 2016

THE DOOMED BIRD OF PROVIDENCE - Blind Mouths Eat
(CD Front & Follow)


Uno dei miei piaceri preferiti è sempre stato quello di scoprire nuovi gruppi o musicisti solo guardando le copertine dei loro dischi. Ho preso qualche cantonata, inutile dirlo, ma spesso sono tornato a casa con piccoli o grandi album che mi hanno soddisfatto completamente. In epoca digitale il fascino di questo gioco non può essere lo stesso, ma qualche negozio di dischi esiste ancora e quindi vi consiglio di provarci.
Perchè questa premessa? Perchè il gioco ha funzionato ancora una volta con questo meraviglioso, sorprendente e inaspettato lavoro dei Doomed Bird Of Providence. Ho adocchiato la copertina durante una svogliata navigazione in rete e subito ha attratto la mia attenzione. Guardarla mi ha trasmesso un senso di apprensione e spavento come non mi succedeva da tempo. Non vi è nulla di efferato nel disegno, ma il buio, le montagne incombenti sullo sfondo, la pallida luna, l'uomo in mezzo all'acqua nera come la pece... Una sensazione di disorientamento e di solitudine impressionante. Mi sono chiesto che musica potesse contenere una simile copertina, e il nome del gruppo, abbinato al titolo dell'album si sono rivelati una calamita fenomenale per il sottoscritto.
Veniamo al sodo: i Doomed Bird Of Providence sono una five piece band inglese di stanza a Londra e Colchester che suona un folk cupissimo e apocalittico, narrante antiche storie legate al colonialismo inglese; storie epiche e drammatiche, di speranze e capitolazioni, di avventure verso l'ignoto e lotte di sopravvivenza contro la natura e gli indigeni del posto. Blind Mouths Eat, uscito nel 2014, è il loro secondo lavoro sulla lunga distanza ed è diviso in tre parti: le prime cinque canzoni raccontano la storia dei folli coloni inglesi di Kangaroo Island, venditori di pelli di selvaggina letteralmente saltati da una nave che li trasportava in Australia. Le loro vicende tragiche ed epiche al contempo, intrise di sofferenza, fatica, crudeltà (verso gli indigeni soprattutto) e assenza di una qualsiasi possibilità di redenzione; vengono raccontate con una musica dove l'atmosfera è quasi doom, catastrofica ma piana allo stesso tempo. Violini, accordion, arpe e chitarre costruiscono un suono fangoso, dove anche la voce sembra provenire dalle pieghe di un tempo andato.
"Tossisco e sputo sangue" si recita in Hang From Your Neck, e si sente tutta la fatica, la disperazione, la fine incombente. Impressionante, davvero.
Le successive tre canzoni sono tratte dal diario di una donna australiana vissuta alla fine del 19° secolo. Negli scritti si narra di vita quotidiana, accadimenti di paese, si tiene conto degli arrivi e delle partenze delle navi mercantili. Alcune pagine sono il resoconto di un risveglio dopo un sogno inquietante che vedeva la donna scendere per la strada e dirigersi al cimitero, dove si teneva una cremazione. Sogno premonitore: di lì a poco la tubercolosi se la porterà via. I brani che raccontano questa storia sono la perfetta colonna sonora della vicenda, da ascoltare col fiato sospeso. Una macabra meraviglia.
L'ultimo brano, Mahina, è uno strumentale di quasi 19 minuti, dove solo apparentemente non sembra succedere molto, in realtà la tensione che la percorre interamente cresce di continuo, come l'affanno di un'ipotetica arrampicata verso altissime rocce, con la speranza vana di scorgervi oltre la salvezza. Resteranno solo le allucinazioni. Il mood complessivo del disco è costantemente piano e pastorale; ricorda un viaggio nomadico in territori sconosciuti, ma vi sono anche picchi di distorsione chitarristica come in Through The Streets Of Albany, la più aggressiva del lotto, che iniettano energia e dinamica nel corpo del lavoro.
Oggi sembra il primo giorno d'autunno, piove e l'aria è fredda, il cielo plumbeo. Non riesco a smettere di ascoltare questo disco.

Edvard von Doom


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